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Bologna, il giudice che ha dato 1200 anni di carcere alla 'ndrangheta non ha una scorta

La denuncia di Libera dopo il sequestro alle poste e le minacce all'amministratore giudiziario dei beni confiscati. Due giudici del maxi-processo Aemilia non hanno protezione

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BOLOGNA - Francesco Maria Caruso, il giudice che tre settimane fa ha inflitto mille e duecento anni di carcere a 118 condannati nel più grande processo alla 'ndrangheta del Nord Italia, e oggi presidente del Tribunale di Bologna, non ha una scorta. Stessa situazione per un altro giudice, Andrea Rat, dello stesso collegio del maxi-processo Aemilia, svoltosi a Reggio Emilia.

La circostanza, secondo quanto si apprende da ambienti giudiziari, desta preoccupazione soprattutto dopo alcuni recenti episodi, letti come un crescendo di tensione, in seguito alla sentenza: tra questi, il gesto di Francesco Amato, imputato condannato che il 5 novembre è rimasto asserragliato per ore in un ufficio postale, prendendo ostaggi, e l'intimidazione ricevuta ieri dall'avvocato Rosario Di Legami, amministratore giudiziario di molti dei beni sequestrati nel processo. Al suo studio palermitano è stata recapitata una busta con escrementi.

Si tratta di episodi da decifrare, ma "in generale, a persone che hanno responsabilità di questo tipo (come i giudici, ndr) va garantita la massima sicurezza", dice Daniele Borghi, referente di Libera in Emilia-Romagna, che ha seguito dall'inizio il processo Aemilia.

Per Borghi "sono segnali preoccupanti: 1.200 anni di carcere sono tanti, è abbastanza naturale che ci sia tensione".

Il presidente Caruso, contattato in merito, non ha voluto fare dichiarazioni.