Bologna

Batterio killer all'ospedale, decessi in Emilia-Romagna e Veneto

Si tratta del Chimera, che ha colpito pazienti sottoposti a interventi di cardiochirurgia con macchine cuore-polmone. Il ministero della Salute attende i dati di tutte le Regioni, l'assessore emiliano: "Evento raro, causato forse da un lotto di strumenti della stessa azienda"

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BOLOGNA - Due decessi confermati e segnalati già la scorsa estate, cui si sommano due casi sospetti e un centinaio di cartelle da rivedere: questi sono soltanto i numeri relativi all'Emilia-Romagna per quanto riguarda il micobatterio Chimera, che ha provocato in Veneto la morte di sei persone. Un batterio contratto dai pazienti durante operazioni di cardiochirurgia attraverso macchine cuore-polmone che consentono la circolazione extracorporea. Decessi su cui è massima l'attenzione del ministero della Salute, che attende i dati di tutte le Regioni. L'assessore regionale dell'Emilia-Romagna Sergio Venturi parla in una nota di "un evento raro, causato probabilmente da un lotto di macchinari prodotti dalla stessa azienda. L’allerta, naturalmente, da parte nostra è massima: ci siamo già mossi, stiamo facendo tutto ciò che è necessario per garantire la sicurezza dei pazienti".

I decessi riconosciuti in Emilia-Romagna sono avvenuti presso il Salus Hospital di Reggio Emilia e risalgono, come si diceva, alla scorsa estate, ma le cartelle da riesaminare riguardano un periodo molto ampio, dal 2010 al 2017, per i casi di interventi a carico delle valvole cardiache. La finestra di indagine è ampia perché ampio è il periodo di incubazione: la media è di 17 mesi, ma si può arrivare anche a 72. Non esiste una terapia stabilita e il tasso di mortalità è molto alto: sopravvive un paziente su due. Il micobatterio killer - che si diffonde dalle macchine attraverso l'acqua - è stato censito per la prima volta nel 2004, il primo decesso in Italia risale allo scorso 2 novembre e riguarda un anestesista di Vicenza.

Solo in Emilia-Romagna sono una trentina le macchine cuore-polmone che consentono la circolazione extra-corporea; sono circa una quindicina quelle su cui si è focalizzata l'attenzione della Regione, che, spiega Venturi, "ha già chiesto alle strutture di cardiochirurgia che vengano sostituite tutte le macchine potenzialmente a rischio o che ci sia un loro adeguamento, per evitare altre possibili diffusioni in sala operatoria di agenti patogeni". E' in preparazione un’informativa da recapitare a tutti i pazienti nelle strutture di cardiochirurgia, operati con l’utilizzo della macchina in questione, perché si rechino dal medico curante all'ìnsorgere di fenomeni febbrili a seguito di un intervento di cardiochirurgia del tipo a rischio.
 
Allargando l'indagine a tutta l'Italia, il ministero della Salute fa sapere che "si è in attesa di ricevere riscontro dalle regioni e il ritardo è probabilmente dovuto al fatto che il lungo periodo di incubazione e la scarsa specificità del quadro clinico rendono complessa e laboriosa l'identificazione di casi possibili che devono, comunque, essere confermati da indagini di laboratorio specifiche, non sempre disponibili per i casi individuati retrospettivamente".